Fibronit
→ La fabbricazione dei manufatti avveniva a mano e comprendeva principalmente lastre piane e ondulate, canne fumarie, vasche, manicotti, condotte, ecc. L’amianto veniva trasportato in sacchi di juta, quindi sminuzzato e ridotto in polvere (molazzatura). Successivamente le fibre venivano mescolate con il cemento e impastate con acqua, quindi sagomate. Infine, dopo la stagionatura, i manufatti subivano un’ulteriore rettifica al tornio. Il recupero dei sacchi di juta era effettuato manualmente tramite uno “spolveramento”, ottenuto sbattendo i sacchi contro i muri.
Nel 1946 fu aperto un secondo reparto, quello dei “pezzi speciali”; successivamente, alla fine degli anni cinquanta, entrò in funzione il reparto della produzione di tubi.
Storia
Il complesso industriale della Fibronit, di proprietà dell’omonima Società per azioni Cementifera, fu edificato a Bari nel 1935, su un’area di 100.000 mq, all’incrocio di quelli che sarebbero diventati tre quartieri fortemente identitari per la città di Bari: Madonnella, Japigia e San Pasquale.
La fabbrica, nella quale lavoravano circa quattrocento operai, produceva manufatti per l’edilizia in fibrocemento, composto di cemento e amianto più conosciuto come eternit, dal nome dell’azienda che l’aveva brevettato e ne aveva registrato il marchio. Conosciuto per le sue proprietà di resistenza al calore e flessibilità, nonché per le sue caratteristiche fonoassorbenti, questo materiale trovò un impiego sempre più ampio nel dopoguerra e negli anni del boom economico. →
→ Nel 1972 gli operai ottennero l’intervento del Ministero del Lavoro e la disponibilità del Consiglio comunale ad istituire un’indagine ufficiale, presa in carico anche dall’Istituto di Medicina del Lavoro.
Gli studi condotti evidenziarono che i casi di mesotelioma pleurico, pur rappresentando l’1% delle malattie oncologiche, erano particolarmente elevati tra gli operai e gli abitanti della “zona rossa” che comprendeva i tre quartieri che si trovavano entro un chilometro in linea d’area con la fabbrica.
Fece seguito nel 1974 un’azione legale contro la Fibronit, promossa da sindacati, patronati e da 128 lavoratori. E da quel momento divenne chiaro che la questione salute e quella ambientale non potevano più essere ignorate.
Nel 1985 la Fibronit chiuse i battenti per elevato impatto sanitario e ambientale.
Le indagini
Fino agli anni settanta non esisteva ancora una consapevolezza della pericolosità delle fibre di amianto. I lavoratori erano esposti ad elevate concentrazioni di fibre, soprattutto nelle fasi di svuotamento e sbattitura dei sacchi, molazzatura, tornitura e taglio.
Fu solo tra gli anni Sessanta e Settanta, nella cornice delle lotte sociali e dei movimenti di protesta sui danni provocati dall’industrializzazione, che emerse un dibattito sempre più acceso sulle conseguenze per la salute del lavoro a contatto con l’eternit. Dalle prime rilevazioni, effettuate negli anni 70, emersero concentrazioni fino a 20 ff/cc in prossimità delle aree più critiche, a fronte di un limite di esposizione lavorativa dell’Acgih (Association Advancing Occupational and Environmental Health) di 5 ff/cc. →
→ Dopo il blocco nel 2011 del “Parco della Rinascita” per il ricorso al Tar da parte delle ditte partecipanti alla gara d’appalto dei lavori di messa in sicurezza definitiva, nell’ottobre 2016 furono avviate le operazioni di demolizione dei capannoni.
La bonifica avvenne all’interno di tensostrutture di confinamento necessarie a evitare la dispersione nell’aria di fibre in amianto e il completamento della bonifica fu terminato nel 2018.
Dopo vent’anni di impegno sociale del Comitato cittadino e di lotte ambientaliste, delle quali emblematica protagonista è stata l’assessore comunale all’ambiente del Comune di Bari, Maria Maugeri, si è giunti finalmente all’avvio del progetto del “Parco della Rinascita”, per il quale il Comune ha ottenuto 11 milioni di euro dai fondi PNRR, ai quali si sono aggiunti altri tre milioni e mezzo dalla Regione.
Il comitato
La chiusura della Fibronit non comportò un’immediata cessazione dell’inquinamento. La fabbrica era infatti diventata una pericolosa discarica a cielo aperto che provocò, oltre alla morte di 180 operai per esposizione diretta all’amianto, altri 700 decessi negli anni a seguire, causati dal rilascio di residui nell’ambiente.
Dopo i primi interventi di copertura del fibrocemento nel 1992 ed il sequestro dell’area nel 1995, nacque nel 1997 il Comitato Cittadino Fibronit.
I suoi obiettivi erano la messa in sicurezza e l’inedificabilità dell’area, nonché la conversione della fabbrica in parco (“Parco della Rinascita”). Ma solo tra il 2005 e il 2007 venne effettuata una messa in sicurezza di emergenza. →
→ Delle aree oggetto di riconversione fa parte anche l’immobile “ex Bricorama”, dove si prevede di poter collocare una serie ulteriore di funzioni, culturali, museali e/o commemorative.
Saranno inoltre circoscritte aree non fruibili ai cittadini, sulle quali sarà effettuato il monitoraggio per la verifica di una eventuale presenza in atmosfera di residui di sostanze volatili di amianto.
La riconversione
Il progetto di riconversione dell’area a Parco Urbano è stato concepito attraverso un confronto partecipativo dell’Amministrazione con il partenariato sociale, l’associazionismo e il mondo della scuola, le cui esigenze e proposte hanno fornito indicazioni utili per una prima rifunzionalizzazione del parco.
L’intera area copre 43mila e 385 metri quadri sui quali saranno realizzati spazi per bambini, aree concerti, zone di verde, aree per i cani, spazi per lo sport, orti sociali.
È previsto anche un complesso intervento per l’accessibilità del sito e la connessione con il tessuto urbano che prevede viabilità ciclopedonale e un ponte per scavalcare i binari della ferrovia Bari-Taranto e collegare il parco con via Amendola. →
Fibronit, lavori di demolizione e bonifica
Testimonianze
Quel 18 aprile del 1974 quando entrammo nella Fibronit.
Un pomeriggio non particolarmente freddo ma neanche ancora primaverile. Varcare la soglia di via Caldarola fu come entrare in un universo concentrazionario. Al di là dei muri di cinta: la città, il traffico, la vita. Al di qua: grigi capannoni anonimi ed uguali come quelli di un lager. Tutto era fermo ed immoto sia perché i lavoratori da mesi avevano bloccato le lavorazioni, sia perché, in occasione dell’udienza in Pretura, avevano proclamato uno sciopero totale. Cosicché sembrava che ogni cosa fosse abbandonata da qualche tempo. In più, intuendo la possibilità di un’ispezione, la direzione aveva ordinato pulizie straordinarie ed urgenti che avevano reso gli ambienti di lavoro i più asettici possibili. I lavoratori, gli avvocati e lo stesso Pretore si muovevano in quest’ambiente immoto e lunare senza percepire nulla di quanto si nascondeva in tale irrealtà. Poi, d’improvviso, quasi al fine della visita, un operaio, urlando frasi sconnesse in dialetto, rompendo il muro di silenzio, si avvicinò a quelle che sembravano delle mangiatoie d’una stalla e cominciò a rimestare con le mani quanto era contenuto in quei canali di legno percorsi da una fila di rimestatori in quel momento fermi e ci mostrò come si mischiava il cemento con l’amianto quando, come spesso succedeva, il macchinario automatico non funzionava ed il personale doveva operare a mano perché il ciclo produttivo non doveva interrompersi. Testa nella mangiatoia a respirare a pieni polmoni la polvere che si formava. Subito un altro operaio montò su di un muletto e cominciò a girare nel cortile sgommando e sollevando polvere d’amianto e cemento che in poco tempo diventò una candida nuvola che ci avvolse tutti. Quel giorno d’aprile Bari si rese conto della bomba permanente che aveva tra le sue mura. Una bomba che aveva già provocato centinaia di morti ed altri avrebbe continuato a provocare.
Niccolò Muciaccia, 1974
Avvocato del lavoro e Presidente della VII Circoscrizione di Bari
Testimonianze
Quando nella ‘zona rossa’ respiravamo il vento di morte
Era soltanto una fila di capannoni grigi, con le pareti alte simili a quelle delle rimesse per autotreni, le facciate pentagonali incutevano nell’ aria quell’ idea di perfezione geometrica, senso dello spazio post-moderno e “architettura della rinnovazione”. Lungo il corso del tempo si erano fatte consistenti le misteriose morti per asbestosi e mesotelioma pleurico. Cadevano come mosche. Prima una manciata di persone, un caso raro, ma poi quella manciata divenne una dozzina e poi divennero centinaia. Il mostro di pentagoni e calcestruzzo si stagliava sulla cortina di una strada vuota, che dopo le sette di sera in inverno diventava la pista di bulli e pazzi scatenati.[…]Ma quella fabbrica morì prima di tante altre morti strane e misteriose. Crisi economica, fine del ciclo produttivo, inutilità delle risorse, nuove prospettive di mercato, procedimento fallimentare, liquidatore e altre parole difficili. La fabbrica produceva cemento amianto, pulsava in quel centro periferico della città come una sanguisuga agonizzante. Succhiava sangue e restituiva vuoto mortifero. Ma la fabbrica morta non cessò di inquinare, anzi da morta divenne ulteriormente pericolosa e mortale. […] Per quei stranissimi anni universitari ho vissuto in piena “zona rossa” senza mai sapere nulla, senza sospettare che razza di bomba era innescata a pochi metri da dove vivevo. [..]Di tutto questo tanta gente sapeva pochissimo, i media erano ancora cauti nonostante quella fabbrica avesse chiuso i battenti nel 1986. I politici ancora di più. Qualcuno ha parlato di clima omertoso per l’emergenza amianto a Bari.[..] Poi vennero i giornali […] Iniziarono le inchieste della magistratura (e oggi le prime condanne), iniziai a sentir parlare del cisplatino, della gente che lo usava anche a Bari come a Taranto. Che quella era resistenza, senza vittorie per adesso, ma sempre resistere.
Mario Desiati, 2004
Scrittore
Fibronit, lavori di demolizione e bonifica
Parco della Rinascita